6) TRA LA TUTELA DELLA PRIVACY E QUELLA DEI BENI AZIENDALI A PREVALERE PUÒ ESSERE QUEST’ULTIMA

45690586 - privacy computer security on the internet lock icon data protectionUn’interessante pronuncia della Corte di Cassazione (la n. 13266 in data 30/05/2018) si è espressa sul delicato tema concernente il bilanciamento di due opposti interessi che possono spesso venire a confliggere nei contesti aziendali, ciò è a dire, il diritto alla privacy del lavoratore subordinato ed il diritto alla tutela dei beni aziendali in capo al datore di lavoro.

Il caso deciso dalla Suprema Corte ha riguardato il licenziamento di un dipendente che era stato sorpreso ad utilizzare il computer per finalità ludiche; la successiva indagine retrospettiva sulle attività che il dipendente aveva svolto nelle settimane precedenti aveva evidenziato l’abitualità di tale condotta da parte del lavoratore.

L’azienda intraprese quindi un’azione disciplinare culminata infine con il licenziamento del dipendente.

Quest’ultimo impugnò il recesso, assumendo che lo stesso fosse illegittimo, perché avvenuto in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori; in particolare, secondo la tesi difensiva del dipendente, prima di sottoporre a controllo il computer in uso al lavoratore, l’azienda avrebbe dovuto siglare un accordo sindacale oppure ottenere un’autorizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro per poter poi espletare l’indagine da cui trasse origine il licenziamento disciplinare.

Ma la Cassazione non ha condiviso l’assunto del ricorrente ed ha ritenuto legittima la condotta dell’azienda, poichè l’indagine da quest’ultima svolta avrebbe mirato non tanto a monitorare l’esatto adempimento delle obbligazioni da parte del dipendente, quanto  piuttosto a tutelare i beni e l’immagine dell’azienda.

Insomma, a parere della Suprema Corte, poiché la condotta del lavoratore dipendente, che utilizzava impropriamente il computer in dotazione anche per attività ludiche, avrebbe avuto un effetto lesivo sul patrimonio aziendale e sull’immagine dell’impresa, in tal caso l’iniziativa del datore di lavoro, tesa ad acquisire i dati personali del dipendente, relativi alla sua navigazione in internet, con la finalità di proteggere il patrimonio e l’immagine aziendale, non avrebbe violato alcuna delle limitazioni in materia di privacy che sono prescritte dalla Legge n. 300/1970.

Secondo la Cassazione, quindi, i dati in tal modo acquisiti dal datore di lavoro e per le finalità sopra descritte possono essere legittimamente utilizzati in sede disciplinare nei confronti del dipendente.